Wednesday, September 02, 2015

GIACINTO PLESCIA ONTOLOGIE QUANTISTICHE DI PARTICELLE - Allori | giacintopia


 





Non c’è
quasi nulla nel mondo che ci circonda su cui non soffi l’alito delle leggi quantistiche. Tuttavia, per
come è usualmente presentata nei libri di testo, la meccanica quantistica è sostanzialmente
un’insieme di regole per calcolare le distribuzioni di probabilità dei risultati di qualunque
esperimento (nel dominio di validità della meccanica quantistica). In quanto tale, non ci fornisce
direttamente una descrizione della realtà. Una descrizione della realtà, cioè un’ontologia, dovrebbe
dirci che cosa c’è nel mondo e come si comporta, quali sono i processi che si realizzano a livello
microscopico e, di conseguenza, fornirci una spiegazione del formalismo quantistico.
1. Einstein, Schrödinger e il problema della completezza
Mentre sulla correttezza del formalismo quantistico c’è un accordo pressoché generale, quale sia la
l’ontologia quantistica rimane un punto controverso. Si è persino dubitato se una descrizione della
realtà debba conformarsi alle regole della logica ordinaria e se tale descrizione sia davvero
desiderabile. In verità, si è anche sostenuto che la teoria quantistica ci costringa ad abbandonare la
realtà di un mondo esterno che esiste oggettivamente, indipendentemente dalla mente umana. In
1 Department of Philosophy, Davison Hall, Rutgers, The State University of New Jersey, 26 Nichol Avenue,
New Brunswick, NJ 08901-1411, USA. E-mail: vallori@eden.rutgers.edu
2 Dipartimento di Fisica dell'Universita' di Genova and INFN sezione di Genova, Via Dodecaneso 33, 16146 Genova,
Italy. E-mail: zanghi@ge.infn.it
2
questi ultimi anni è poi cresciuta in popolarità una visione della meccanica quantistica basata sulla
teoria dell’informazione. Si tratta di un vestito che sembra nuovo, confezionato sull’onda dello
sviluppo teorico e sperimentale delle teorie dell’informazione e della computazione quantistica, ma
in realtà è un abito usato: già nel 1952 Schrödinger metteva in guardia contro l’idea di ridurre la
meccanica quantistica a semplice rappresentazione della nostra conoscenza (Schödinger, 1995, pp.
70-81).3
Lo scetticismo verso la possibilità di rappresentare con immagini chiare e non ambigue
quello che accade nel mondo ha radici lontane. Negli anni Venti del xx secolo, Niels Bohr
incominciò a difendere l’idea che il realismo scientifico tradizionale era infantile e non scientifico, e
propose quella che è ancora chiamata l’interpretazione di Copenhagen della meccanica quantistica.
In base a questa dottrina le leggi fisiche non hanno più a che fare con come è fatto il mondo, ma con
la nostra possibilità di conoscerlo, che è intrinsecamente limitata: la meccanica quantistica di
Copenhagen rifiuta in linea di principio di fornire una storia consistente a quello che accade agli
oggetti microscopici. L’insistenza di Albert Einstein sulla possibilità di arrivare ad una
formulazione più completa, in cui l’osservatore non giochi alcun ruolo privilegiato, sembrerebbe in
effetti molto modesta se confrontata con le categoriche asserzioni di Bohr riguardanti
l’impossibilità, in linea di principio, di una descrizione completa della realtà fisica indipendente
dall’osservatore. Ciò nonostante, la maggioranza dei fisici ritiene che il dibattito tra Einstein e Bohr,
durato decenni, sia stato vinto da Bohr.
Tuttavia, oggi possiamo affermare con certezza che quel dibattito è stato risolto, e, in effetti,
a favore di Einstein. Quello che Einstein desiderava e che Bohr riteneva impossibile esiste. Esiste
una meccanica quantistica senza l’osservatore in cui il processo di misura può essere analizzato in
termini di concetti più fondamentali. Inoltre, oggi disponiamo di diverse formulazioni di questo
tipo. Dal 1952 esiste una teoria che rende conto di tutti i fatti quantistici in maniera naturale ed
elegante: si tratta della meccanica bohmiana, anche nota come teoria d’onda pilota di de Broglie-
3 Per un critica recente, si veda Daumer & al. (2006).
3
Bohm. Questa teoria descrive un mondo in cui gli elettroni, i quark e le altre particelle puntiformi si
muovono lungo traiettorie ben definite, sebbene non classiche, secondo una precisa legge del moto
determinata dalla funzione d’onda. Dovrebbe essere insegnata agli studenti, sosteneva John Stuart
Bell, come una legittima alternativa all’ortodossia. E nel 1986 i fisici italiani GianCarlo Ghirardi,
Alberto Rimini and Tullio Weber ebbero successo nello sviluppare un secondo tipo di teoria
realista, incoraggiata da Bell, e nota come localizzazione spontanea, o teoria GRW. Ciascuno di
questi due approcci può essere visto come una risposta al problema di formulare una meccanica
quantistica senza l’osservatore e come una realizzazione dell’intuizione di Einstein che la funzione
d’onda non fornisce una rappresentazione completa della realtà fisica e della sua idea che una teoria
più completa è possibile.
Fu Erwin Schrödinger, il padre della funzione d’onda, a mostrare perché la funzione d’onda
non fornisce una descrizione completa dei sistemi fisici. Per chiarire questo punto, Schrödinger
aveva ideato un esperimento mentale in cui un gatto viene messo in una stanza insieme a una
sorgente radioattiva. La sorgente radioattiva è collegata a una fiala di veleno gassoso da un
dispositivo tale che, quando un nucleo radioattivo decade, rompe la fiala, il veleno ne esce e uccide
il gatto. In questo modo si amplifica su scala macroscopica (il gatto) una sovrapposizione
quantistica microscopica: la funzione d’onda microscopica è la somma di due funzioni d’onda,
ciascuna delle quali corrisponde ai due stati possibili del nucleo (decaduto/non decaduto) e ad essa,
sulla base della linearità dell’evoluzione di Schrödinger, corrisponde una funzione d’onda
macroscopica finale che è la somma di due funzioni d’onda, una corrispondente allo stato di vita del
gatto e l'altra a quello di morte. Ma questa funzione d’onda finale, essendo “sparpagliata” sia sulle
configurazioni atomiche corrispondenti al gatto vivo che su quelle corrispondenti al gatto morto,
non rappresenta lo stato possibile del gatto alla fine dell’esperimento, che è di certo o vivo o morto.
È questo carattere di sparpagliamento della funzione d’onda che preoccupava Schrödinger, uno
sparpagliamento che, come diceva Schrödinger, “produce un offuscamento delle cose tangibili e
visibili per cui il termine ‘offuscamento’ è semplicemente sbagliato” (Schrödinger,1935).
4
Nonostante le difficoltà che comporta assumere che la funzione d’onda fornisca una
descrizione completa di un sistema quantistico, tale concezione è tuttora largamente diffusa. Si
tratta certamente di una possibilità attraente: ceteris paribus, il monismo, cioè che ci sia solo un
genere di realtà, è forse più attraente del pluralismo ontologico. Ma le altre cose non sono, come
abbiamo appena visto, uguali. In effetti, il fascino del monismo della funzione d’onda è così forte
che la maggior parte delle interpretazioni della meccanica quantistica, inclusa l’interpretazione
ortodossa, comportano, in forma più o meno esplicita, l’abrogazione del carattere universale
dell’equazione di Schrödinger.
Secondo una variante dell’interpretazione ortodossa, di solito attribuita a Dirac e von
Neumann, quando un osservatore effettua una misura, l’equazione di Schrödinger deve essere
“sospesa” e sostituita da una diversa legge dinamica, la regola di “collasso” della funzione d’onda.
Secondo questa regola, la somma di funzioni d’onda in cui si trova il sistema prima della misura si
trasforma, dopo la misura, in uno dei termini della somma, secondo una legge di probabilità
determinata dalla funzione d’onda iniziale e dalle modalità con cui la misura viene effettuata.4
Quindi soltanto quando un osservatore entra nella stanza ed effettua una misura lo stato del gatto
risulta determinato. Ma quando un processo fisico deve essere considerato un processo di misura?
John Bell (1990) così lamentava: “Sembrerebbe che la teoria riguardi esclusivamente ‘i risultati
delle misurazioni’, e che non abbia nulla da dire su tutto il resto. Che cosa qualifica un sistema
fisico perché sia un 'misuratore'? La funzione d'onda del mondo ha per caso atteso di ‘saltare’ per
migliaia di anni fino a che non è apparsa la prima creatura vivente monocellulare? Oppure ha
aspettato ancora un po’ di più, per aspettare qualche sistema meglio qualificato... magari con un
dottorato?”
Per superare queste obiezioni, nel corso degli anni ci sono state differenti proposte che
hanno suggerito che, indipendentemente dall’intervento di un osservatore esterno, l’evoluzione
della funzione d’onda non sia regolata dall’equazione di Schrödinger. Un tratto comune di queste
4 Si osservi che la regola del collasso viola la linearità dell’evoluzione di Schrödinger: una trasformazione lineare deve
infatti trasformare somme in somme.
5
proposte è che la dinamica quantistica debba essere sostituita da una qualche modifica non lineare e
stocastica che, su scala microscopica, risulti equivalente, con elevato grado di approssimazione,
all’evoluzione di Schrödinger.
A queste proposte di modifica dell’equazione dei Schrödinger si potrebbe obiettare nel
seguente modo: l’evoluzione temporale quantistica comprende una bellezza matematica profonda
che sembra dire: “Non alterarmi! Non degradare la mia integrità!” Quindi, in considerazione del
fatto che l’equazione di Schrödinger, e più in generale la teoria quantistica, in cui tale equazione
(incluse le sue estensioni relativistiche) svolge un ruolo così prominente, è stata verificata con un
grado notevolissimo di precisione sperimentale, le proposte di modifica dell’evoluzione di
Schrödinger sembrano nel migliore dei casi dubbie, basate su considerazioni puramente concettuali
e filosofiche. Ma il monismo basato sulla funzione d’onda è davvero così indispensabile da
costringerci a lottare duramente per mantenerlo di fronte alle ardue difficoltà che comporta?
2. Ontologia di particelle e meccanica bohmiana
Quando nuove entità teoriche astratte sono introdotte matematicamente in una teoria fisica,
l’importanza fisica di queste entità, il loro significato stesso, nella misura in cui la fisica è
interessata, risulta dal loro ruolo dinamico, dal ruolo che giocano nell’evoluzione temporale delle
entità o variabili dinamiche più primitive, più familiari e meno astratte. Per esempio,
nell’elettrodinamica classica il significato del campo elettromagnetico deriva solamente
dall’equazione della forza di Lorentz, cioè dal ruolo del campo nel regolare l’evoluzione delle
posizioni delle particelle cariche, con la specificazione delle forze, agenti su queste particelle, a cui
il campo dà origine. In effetti, perchè queste astrazioni sarebbero state introdotte, se non per la loro
attinenza con comportamento di qualcos’altro, che in qualche modo ha già rilevanza fisica? Forse
dovrebbe essere considerato sorprendente che, nel corso dello sviluppo storico della meccanica
quantistica, la funzione d’onda non sia stata introdotta in questo modo!
Ma in realtà, è stato proprio così. Nel 1924 Louis de Broglie propose che come le onde
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elettromagnetiche sono associate in qualche modo con le particelle, i fotoni, così le particelle
materiali, in particolare gli elettroni, dovrebbero essere associate con delle onde. De Broglie
immaginò queste onde come “onde pilota” che regolano in qualche modo il movimento delle
particelle, in un modo che soltanto successivamente, verso la fine degli anni 20, rese esplicito (de
Broglie, 1928). Tuttavia, sotto la pressione della critica di Wolfgang Pauli, presto de Broglie
abbandonò la sua teoria dell’onda pilota, a cui ritornò dopo più di due decadi, dopo che le sue idee
furono riscoperte, estese e notevolmente raffinate da David Bohm.
Inoltre, nel 1926, in un articolo scritto subito dopo i lavori di Schrödinger, Max Born
esplorò le conseguenze di questa congettura (Born, 1926). Born considerò l’ipotesi che la funzione
d’onda potesse essere un campo guida per il movimento degli elettroni e, in conseguenza di questa
ipotesi, egli arrivò sia alla sua interpretazione statistica della funzione d’onda sia alla creazione
della teoria quantistica della diffusione. Born non specificò esplicitamente una legge guida, ma
suppose che la funzione d’onda dovesse determinare soltanto statisticamente il movimento
dell’elettrone e che una dinamica deterministica fosse impossibile. Come de Broglie, anche Born
abbandonò rapidamente l’ipotesi del campo guida, soprattutto a causa del giudizio estremamente
negativo di Werner Heisenberg, che insisteva sul fatto che le teorie fisiche devono essere formulate
direttamente in termini di quantità osservabili, come le linee spettrali e le intensità, piuttosto che in
termini di traiettorie microscopiche.
L’ipotesi del campo guida fu ripresa da David Bohm che riscoprì in maniera indipendente
la teoria d’onda pilota di de Broglie e mostrò come il formalismo quantistico usuale potesse essere
derivato dai principi di base della teoria di de Broglie. In questo modo, Bohm costruì la prima
alternativa convincente alla formulazione prevalente di Copenhaghen. I due lavori che Bohm
pubblicò nel 1952 erano intitolati “A suggested Interpretation of Quantum Theory in Terms of
Hidden Variables”, cioè una proposta di interpretazione della teoria quantistica in termini di quelle
“variabili nascoste” che, secondo la vulgata allora corrente (e purtroppo ancora oggi in voga), von
Neumann aveva “dimostrato” essere impossibili.
7
Nell’introduzione al primo di questi due lavori Bohm scrive: “La maggior parte dei fisici ha
ritenuto che le obiezioni come quelle sollevate da Einstein non sono rilevanti, in primo luogo,
perché la forma presente della meccanica quantistica con la sua interpretazione probabilistica usuale
è in accordo eccellente con una vasta gamma di esperimenti, per lo meno nel dominio delle distanze
maggiori di 1013 centimetri, e, in secondo luogo, perché non è stata ancora proposta alcuna
interpretazione alternativa consistente. Lo scopo di questo articolo … è, tuttavia, una tale
interpretazione alternativa. In contrasto con l’interpretazione usuale, questa interpretazione
alternativa permette di concepire che ciascun sistema individuale sia in uno stato precisamente
definibile, i cui cambiamenti nel tempo sono determinati da leggi definite, analoghe (ma non
identiche) alle equazioni classiche del moto. Le probabilità quantistiche sono considerate (come le
loro controparti in meccanica statistica classica) soltanto come una necessità pratica e non come
una manifestazione dell’assenza in linea di principio di una determinazione completa nelle proprietà
della materia al livello quantistico.”
La meccanica bohmiana fornisce dunque una possibile descrizione della realtà quantistica
che sta dietro le regole di calcolo del formalismo quantistico convenzionale. Questa teoria ha
un’ontologia di particelle, e descrive un sistema di particelle in parte mediante la sua funzione
dell’onda che evolve, come di consueto, secondo l’equazione di Schrödinger. Tuttavia, la funzione
dell’onda fornisce soltanto una descrizione parziale del sistema. Questa descrizione è completata
dalla specificazione delle posizioni effettive delle particelle, la cui evoluzione è regolata da una
equazione di guida che stabilisce come le velocità delle particelle siano determinate della funzione
dell’onda. Perciò, in meccanica bohmiana, il movimento delle particelle è in qualche modo
“coreografato” dalla funzione d’onda. In particolare, quando una particella è soggetta
all’esperimento delle due fenditure, la fenditura attraverso cui passa, e il punto d’arrivo sullo
schermo, sono completamente determinati dalla sua posizione e dalla funzione d’onda iniziale. La
meccanica bohmiana risolve tutti paradossi della meccanica quantistica, eliminando stranezze e
misteri. Con una teoria di questo tipo, in cui la descrizione della situazione dopo una misura
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comprende, in aggiunta alla funzione d’onda, per lo meno i valori delle variabili che registrano il
risultato, non c’è alcun problema della misura. In meccanica bohmiana gli indici degli apparati di
misura hanno sempre una orientazione ben definita perché le particelle che formano l’indice di un
apparato hanno sempre, secondo questa teoria, posizioni ben definite. Analogo discorso vale per lo
stato di salute del gatto di Schrödinger.
In meccanica bohmiana, la legge che regola il moto delle particelle nello spazio fisico rende
manifesto l’effetto più drammatico della meccanica quantistica, la non-località: il fatto che eventi
fisici possano reciprocamente influenzarsi più velocemente della velocità della luce, anche a
distanze arbitrariamente grandi, senza che questa influenza reciproca sia mediata da campi fisici
(come, ad esempio il campo elettromagnetico o quello gravitazionale) o da particelle (o energia o
segnali) che possono in qualche modo “viaggiare” da un evento ad un altro. Lungi dall’essere un
difetto, si tratta questo di un notevole pregio della teoria, in quanto, sulla base dell’analisi di Bell
(1964) e degli esperimenti di Aspect & al. (1981), la non località è una legge di natura. Si potrebbe
dire che la meccanica bohmiana non fa altro che ereditare e rendere esplicito il carattere non locale
implicito nella nozione, comune a tutte le formulazioni ed interpretazioni della meccanica
quantistica, di una funzione dell’onda sullo spazio delle configurazioni. A questo riguardo,
ricordiamo che la configurazione di un sistema di particelle è l’insieme ordinato dei punti nello
spazio fisico occupati dalle particelle, e che lo spazio delle configurazioni è la totalità di tutti i
possibili insiemi di questo tipo.5
3. Il significato della funzione d’onda e la freccia di Zenone
Per comprendere meglio il significato della funzione d’onda in meccanica bohmiana, un confronto
con il campo metrico può essere utile. Un campo metrico su uno spazio determina un sistema di
possibili relazioni geometriche tra tutti i punti dello spazio, relazioni che assumono significato
5 Un insieme ordinato di punti è matematicamente rappresentato dalla nozione di vettore: l’ordine rende i punti
distinguibili, associando ad essi come etichetta il loro numero d’ordine: il primo punto rappresenta la posizione nello
spazio della particella “1”, il secondo quella della particella “2”, e così via.
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fisico quando i punti sono “occupati” da oggetti fisici (ad esempio, in uno spazio euclideo con tre
oggetti, il campo metrico determina le distanze relative tra gli oggetti e le relazioni angolari tra di
loro). Poiché la funzione d’onda associa un valore numerico ad ogni insieme ordinato di punti nello
spazio, anch’essa determina un sistema di relazioni tra questi punti. Ma di che tipo di relazioni si
tratta?
Quando l’insieme dei punti rappresenta le posizioni effettive delle particelle, tutte le
proprietà cinematiche delle particelle, (le loro velocità, assolute e relative, le loro accelerazioni,
assolute e relative, etc.) risultano fissate dalla funzione d’onda. La funzione d’onda determina
pertanto le relazioni che correlano le proprietà cinematiche delle particelle con le loro posizioni:
secondo la legge di guida, la velocità di ciascuna particella è una funzione delle posizioni di tutte le
particelle. A differenza delle relazioni metriche usuali, queste relazioni “cinematiche” variano nel
corso del tempo, perché nel corso del tempo varia la funzione d’onda; ciò nondimeno, specialmente
alla luce della lezione della relatività generale secondo cui il campo metrico è un ente dinamico,
questa differenza sembra poco significativa. Ben più significativa è la natura locale/non-locale delle
relazioni: le relazioni metriche sono locali, essendo determinate da un campo locale (il tensore
metrico), mentre le relazioni cinematiche della meccanica bohmiana sono non-locali, essendo
determinate dalla funzione d’onda sullo spazio delle configurazioni.
La meccanica bohmiana fornisce pertanto una nuova teoria del movimento, una teoria basata
su concetti profondamente diversi da quelli classici, quali “forza”, “azione per contatto”, “spingere
e tirare” (“push & pull”). Questa novità suggerisce nuove strade per la fisica. Particolarmente
interessante è la prospettiva di un’unificazione delle relazioni cinematiche e geometriche in un solo
schema concettuale, una sorta di “geometro-dinamica quantistica non-locale” (per un primo passo
in questa direzione, si veda la sezione 4 di Tumulka, 2007). Ma questa novità ci permette anche di
riconsiderare, da una diversa prospettiva, un problema filosofico molto antico.
Zenone di Elea riteneva che, nonostante le apparenze, il movimento non fosse possibile: la
freccia, ad ogni istante di tempo, è ferma in una data regione di spazio, e questa condizione, ad
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esempio espressa da una “fotografia” istantanea, non contiene alcun germe del cambiamento
successivo di posizione — perché la freccia dovrebbe dunque cambiare posizione? Solitamente, si
ritiene che con l’avvento della moderna analisi matematica e la teoria dell’infinito attuale di Cantor
sia stato possibile risolvere questo paradosso (si veda, ad esempio, Russell 1975, p.149). Bohm era
di diverso avviso (Bohm, 1980, p. 202) e recentemente sono state espresse critiche analoghe ed
evidenziati gli svantaggi delle soluzioni tradizionali (Arntzenius, 2000).
Nella misura in cui si ritiene che le soluzioni tradizionali del paradosso di Zenone lascino
qualcosa di irrisolto, si dovrebbe forse apprezzare ancor di più la teoria bohmiana del movimento.
Con una teoria del movimento in cui la “fotografia” istantanea di un insieme di oggetti in
movimento include anche la funzione d’onda, l’argomento originale di Zenone sembra perdere
molto della sua forza originaria. A differenza della teoria classica del movimento, in cui le velocità
risultano determinate soltanto dal confronto di due “fotografie” in rapida successione, in meccanica
bohmiana esse sono determinate da una sola fotografia, cioè, uscendo di metafora, da un’ontologia
di particelle e funzione d’onda, entrambe oggettive e reali ad ogni istante di tempo, con la funzione
d’onda che racchiude, ad ogni istante di tempo, il germe del movimento successivo degli oggetti.
Questa immagine si preserva anche nel limite newtoniano della teoria e quindi si estende anche ad
oggetti macroscopici che, come la freccia di Zenone, si muovono in accordo con le leggi
newtoniane del movimento.6 Diceva Bell (1987, p.128): “Nessuno può comprendere questa teoria
finché non è disposto a considerare [la funzione d’onda] come un campo oggettivo e reale anziché
soltanto ‘un’ampiezza di probabilità’. Anche se si propaga non nello spazio tridimensionale, ma
nello spazio 3N-dimensionale [delle configurazioni].”
Al riguardo, un’avvertenza: all’innegabile uguaglianza dei “diritti ontologici” di particelle e
funzione d’onda fa da controcanto una disuguaglianza di ruolo: la funzione d’onda, stabilendo le
relazioni cinematiche istantanee e come queste cambiano nel tempo, determina le leggi del moto
6 Nel limite classico non si preserva tutta la funzione d’onda, ma soltanto la sua componente più rilevante che genera le
velocità delle particelle, e che nel limite classico diventa l’azione di Jacobi. Per maggiori dettagli si veda Allori & al.
(2002).
11
delle particelle e ha dunque un carattere “nomologico” (Allori & al., 2006); le particelle hanno
invece un carattere “primitivo” (in senso semantico): senza il riferimento alle particelle, la nozione
stessa di funzione d’onda, come funzione delle possibili posizioni delle particelle, perderebbe
senso.
4. Tipicità e incertezza assoluta
Come abbiamo ricordato in precedenza, il carattere statistico della teoria quantistica fu, per la prima
volta, pienamente riconosciuto nel 1926 da Max Born, poco dopo che Schrödinger scoprì la sua
famosa equazione. Born postulò che la configurazione di un sistema di particelle fosse casuale, con
distribuzione di probabilità data dal modulo quadrato della loro funzione d’onda. Questa
distribuzione, la distribuzione di Born, assume un rilievo particolare in meccanica bohmiana. Come
conseguenza elementare dell’equazione di Schrödinger e dell’equazione di guida, si ha che se la
configurazione di un sistema è casuale, con distribuzione di Born ad un qualche tempo, allora
questo sarà vero anche per qualunque altro tempo. Questa proprietà della dinamica bohmiana, che
è stata chiamata equivarianza (Dürr & al., 1992), permette di dimostrare che un universo bohmiano,
benché deterministico, evolve in maniera tale che un’apparenza di casualità emerge, precisamente
come descritto dal formalismo quantistico (Dürr & al., 1992, 2004a). L’ingrediente cruciale per
comprendere lo stato e il ruolo di tale descrizione statistica è la nozione di tipicità, una nozione
fondamentale in meccanica statistica.7 Quindi, con la meccanica bohmiana, la descrizione statistica
nella teoria quantistica assume, come era già stato anticipato da Einstein (1979, p. 215), “una
posizione approssimativamente analoga a quella della meccanica statistica nell’ambito della
meccanica classica.”
Si può inoltre dimostrare che in un universo regolato dalla meccanica bohmiana ci sono
limitazioni precise e irriducibili per quel che riguarda la possibilità di ottenere conoscenza,
limitazioni che non possono essere diminuite in nessun modo mediante il progresso tecnologico
7 Per una introduzione elementare alla nozione di tipicità e al suo ruolo nell’analisi classica di Boltzmann, si veda il
capitolo 2 in Allori & al. (2005).
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degli strumenti di osservazione e misura. Questa incertezza è assoluta ed è in preciso accordo con il
principio di indeterminazione di Heisenberg.8
5. Campi quantistici e ontologia di particelle
A partire dal 1952 la teoria di Bohm è stata investigata e sviluppata: degni di nota sono la
chiarificazione degli assiomi della teoria fatta da Bell (1987) , l’analisi delle probabilità e del ruolo
della tipicità (Dürr & al., 1992, 2004a), le ricerche sul non-equilibrio quantistico (Valentini, 2002),
e l’estensione della teoria alle particelle identiche, cioè a bosoni e fermioni (Bacciagaluppi, 2003,
Goldstein & al., 2005, Dürr & al. 2007). Sono stati inoltre proposti diversi modi di estendere la
meccanica bohmiana alla teoria quantistica dei campi.
Uno di questi (Bohm, 1952, Part II), per i bosoni (cioè per i campi quantistici di forza), è
basato su campi nello spazio fisico tridimensionale che sono guidati da un funzionale d’onda
secondo un analogo infinito-dimensionale dell’equazione di guida. L’altra proposta (Dürr & al.
2004b) trae spunto da un lavoro di Bell (1987, p. 173) e assegna traiettorie agli elettroni e a
qualunque sorta di particelle che intervengono in una data teoria quantistica di campo. In contrasto
con la meccanica bohmiana originale, questa seconda proposta comporta una dinamica secondo cui
le particelle possono essere create e distrutte. Ma i processi di creazione e distruzione di particelle
(ad esempio, l’annichilazione di un elettrone e di un positrone) sono eventi intrinsecamente
stocastici, mentre la meccanica bohmiana fornisce una descrizione completamente deterministica
dell’evoluzione della configurazione di un insieme di particelle. Come è possibile combinare questi
due aspetti in un unico schema dinamico?
In generale, la maniera più semplice di combinare un’evoluzione deterministica con una
stocastica è quella di immaginare che l’evoluzione deterministica avvenga per un certo tempo
indisturbata, e poi, a un istante di tempo casuale, sia interrotta da quella stocastica, dopo di che
8 Per una discussione non tecnica di questo punto, si veda il capitolo 3 in Allori & al (2005), per una discussione più
approfondita il riferimento obbligato è il lavoro originale di Dürr & al. (1992).
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riprende il sopravvento quella deterministica e così via. E questa è proprio la strada che è stata
seguita da Dürr & al. (2004b) per costruire una dinamica a numero variabile di particelle.
La dinamica così costruita ha luogo in uno spazio delle configurazioni a numero variabile di
particelle ed è matematicamente descritta da un processo stocastico a salti di tipo markoviano.
Secondo questa dinamica, le traiettorie delle particelle sono “pezzi” di traiettorie bohmiane, con
numeri diversi di particelle, “incollati” tra loro da leggi stocastiche (in accordo con le probabilità di
variazione del numero di particelle predette dalla teoria quantistica dei campi). Come per la
meccanica bohmiana convenzionale, il movimento della configurazione è guidato, sebbene adesso
in maniera stocastica, dalla funzione d’onda (che adesso non è più una funzione sullo spazio delle
configurazioni, ma un elemento dello spazio di Fock). La dinamica (analogamente alla dinamica
bohmiana convenzionale) è equivariante, ed è quindi possibile dimostrare che la teoria risulta
(analogamente alla meccanica bohmiana convenzionale) in accordo con le previsioni
probabilistiche della teoria quantistica dei campi (Dürr & al., 2005).
In margine, è interessante osservare che, sebbene la teoria si basi su un’ontologia di
particelle, gli operatori quantistici di campo svolgono un ruolo molto importante nella sua
costruzione: quello di fornire una ben definita relazione tra eventi spazio-temporali e le funzioni
d’onda “astratte” della teoria quantistica dei campi; sono, per così dire, proprio ciò che “il dottore
ha prescritto” per la costruzione efficiente di una teoria che descrive la creazione, il movimento e la
distruzione di particelle.
6. La proposta di Ghirardi, Rimini e Weber
Nelle prime pagine di questo articolo abbiamo detto che non solo la meccanica bohmiana, ma anche
la teoria GRW può essere vista come una realizzazione dell’intuizione di Einstein che la funzione
d’onda non fornisce una rappresentazione completa della realtà fisica e della sua idea che una teoria
più completa è possibile. È giunto il tempo di chiarire il senso questa affermazione.
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La proposta originaria di Ghirardi, Rimini e Weber (1986) rende conto in maniera esatta e
non ambigua (cioè indipendentemente dall’intervento di un osservatore esterno) di quando e come il
collasso della funzione d’onda prende il sopravvento sull’evoluzione di Schrödinger. Ma il collasso
della funzione d’onda è un fenomeno casuale, mentre l’evoluzione di Schröodinger è
deterministica; come è possibile combinare queste due evoluzioni in un unico schema dinamico?
La soluzione adottata dalla teoria GRW è, da un punto di vista strettamente matematico, analoga a
quella che abbiamo discusso poc’anzi nel caso dell’ontologia di particelle per la teoria quantistica
dei campi.
Secondo la teoria GRW, l’evoluzione di Schrödinger della funzione d’onda avviene per un
certo tempo indisturbata, e poi, con una data frequenza media, subisce un “salto” casuale, dopo di
che riprende suo corso, e così via. Nella formulazione originaria della teoria GRW, questo “salto”
corrisponde a moltiplicare la funzione d’onda per una “funzione di localizzazione” (ad esempio,
una gaussiana) centrata in un punto dello spazio fisico. La funzione di localizzazione è
caratterizzata da una ben definita lunghezza di localizzazione che misura le dimensioni lineari del
suo supporto spaziale (lo scarto quadratico medio della gaussiana), e il punto dello spazio fisico in
cui è centrata risulta determinato soltanto probabilisticamente dalla funzione d’onda prima del
“salto”. Sia la frequenza media dei salti che la lunghezza di localizzazione sono da ritenersi nuove
costanti di natura (perlomeno nella formulazione GRW originaria). I valori numerici di queste due
costanti risultano fissati, con un certo margine di variabilità, dal requisito che la teoria sia in
accordo con i dati sperimentali. La teoria così definita risulta quindi, nei limiti della precisione
sperimentale presente, in accordo con la teoria quantistica ortodossa (nella misura in cui le sue
previsioni sperimentali sono non ambigue). Tuttavia la teoria GRW prevede che, su una ben
definita scala spaziale ed energetica, l'interferenza quantistica sia soppressa; si tratta di una
previsione genuina della teoria che la rende falsificabile sperimentalmente.
La caratteristica più importante della teoria GRW è che se ad un qualche istante di tempo la
funzione d’onda di un sistema macroscopico è sovrapposizione di due funzioni d’onda, ciascuna
15
delle quali ha supporto in configurazioni macroscopicamente distinte (ad esempio, una ha supporto
nelle configurazioni atomiche corrispondenti al gatto vivo e l’altra in quelle corrispondenti al gatto
morto), allora, in poco meno di un decimillesimo di secondo e con probabilità prossima a uno, si
realizza spontaneamente almeno un evento di localizzazione che fa precipitare la sovrapposizione
macroscopica in uno dei due termini che la compongono. In altre parole, senza l’intervento di alcun
osservatore esterno, ma solo in virtù della struttura dinamica della teoria GRW, la sovrapposizione
macroscopica si trasforma spontaneamente in una delle funzioni d’onda di cui è sovrapposizione. E
questo avviene in accordo con le probabilità predette dalla meccanica quantistica ortodossa, a meno
di piccolissime correzioni che risultano di gran lunga sotto la portata di un qualunque strumento di
misura.
La funzione d’onda nella teoria GRW sembrerebbe dunque fornire una descrizione completa
dei sistemi fisici. Ma è davvero così? Possiamo davvero concludere, unicamente sulla base del fatto
che i sistemi macroscopici sono praticamente sempre descritti dalle corrette funzioni d’onda (quelle
che si otterrebbero nella formulazione ortodossa facendo collassare la funzione d’onda in
conseguenza di una osservazione) che la teoria GRW fornisca una soluzione davvero soddisfacente
del paradosso del gatto? Riteniamo di no, e non per amore dei cavilli filosofici, ma perché pensiamo
dietro l’apparente soluzione ci sia una difficoltà molto seria che la seduzione del linguaggio tende a
nascondere e a oscurare.
Il punto cruciale è il seguente: sebbene nella teoria GRW si parli di configurazioni, la
configurazione di un sistema non rappresenta, in questa teoria, l’insieme (ordinato) delle posizioni
delle particelle nello spazio fisico che costituiscono il sistema, come invece accade in meccanica
bohmiana o in meccanica classica. Il linguaggio particellare è del tutto improprio per questa teoria e
una soluzione del problema del gatto che ne utilizzi in maniera determinante le risorse è del tutto
fuorviante. Se nella teoria GRW la funzione d’onda del gatto rapidamente evolve in uno dei due
termini della sovrapposizione, ad esempio quello corrispondente al “gatto morto”, l’unica
conclusione che possiamo trarre è che la funzione d’onda del gatto ha supporto sulle configurazioni
16
che la meccanica quantistica ortodossa o la meccanica bohmiana assegnerebbero allo stato di gatto
morto. Una conclusione più forte, riguardante lo stato effettivo del gatto, sarebbe soltanto una petitio
principii: in questa teoria il gatto non è un agglomerato di particelle, perché in questa teoria non ci
sono particelle, ma soltanto funzioni d’onda sullo spazio delle configurazioni.
7. Quanto “astratto” può essere lo spazio fisico “concreto”?
Per comprendere l’obiezione che stiamo sollevando è importante avere chiaro che nella teoria GRW
lo spazio delle configurazioni ha un significato non convenzionale. Con questo intendiamo che non
esiste alcun principio secondo cui la configurazione di un sistema rappresenta davvero l’insieme
(ordinato) delle posizioni delle particelle nello spazio fisico: in questa teoria non ci sono posizioni
nello spazio con cui costruire la configurazione di un sistema, perché, tanto per incominciare, non ci
sono particelle! Rappresentare la configurazione di un sistema come un insieme di punti nello
spazio fisico non ha, in questa teoria, più valore oggettivo di quanto ne abbia in fisica classica la
scelta di coordinate cartesiane, cilindriche o sferiche per rappresentare il movimento di un punto
nello spazio euclideo, o la scelta di un sistema di coordinate in relatività generale. Tale
rappresentazione (e la conseguente struttura dello spazio delle configurazioni come prodotto di
copie dello spazio fisico tridimensionale) risulta invece fissata in meccanica bohmiana e in
meccanica classica, perché in meccanica bohmiana e in meccanica classica la nozione di punti
materiali che si muovono nello spazio euclideo tridimensionale è una nozione primitiva: la
meccanica bohmiana e la meccanica classica sono teorie di particelle, descritte ad ogni istante dalle
loro posizioni nello spazio fisico tridimensionale. Al contrario, ciò che è primitivo nella teoria
GRW è la funzione d’onda. Come uscire dall’impasse?
Forse si potrebbe ingoiare il rospo e assumere che sia lo spazio delle configurazioni, non
strutturato in prodotto di spazi tridimensionali, il “vero” spazio fisico, con la funzione d’onda che
rappresenta la realtà fisica in maniera del tutto analoga alla rappresentazione fornita da un campo
classico sullo spazio fisico tridimensionale. Si tratterebbe di una rappresentazione della realtà ben
17
poco intuitiva e molto astratta (lo spazio fisico dell’universo avrebbe una dimensione elevatissima,
dell’ordine di 1080) ma, come diceva Schrödinger a proposito della funzione d’onda nel già citato
“articolo del gatto”: “che la funzione d’onda sia un costrutto matematico non intuitivo e astratto è
uno scrupolo che viene sempre fuori verso nuovi strumenti di pensiero e non reca con sé un grande
messaggio (Schrödinger,1935).” Inoltre, la fisica moderna ci abituato ad un progressivo
allontanamento dallo spazio del senso comune, prima con lo spazio-tempo quadridimensionale della
teoria della relatività e poi con gli spazi decadimensionali delle teorie di supercorda. Infine, una
proposta di questo tipo è stata, in effetti, recentemente portata avanti e difesa (Albert 1996).
Tuttavia, molte sono le critiche che sono state avanzate verso questa proposta; si veda, ad esempio,
Monton (2002), Allori & al. (2006) e Allori (2007). Qui ci limiteremo ad una rapida ricapitolazione
dei punti salienti.
In primo luogo, osserviamo che in una rappresentazione della realtà di questo tipo
verrebbero meno i presupposti stessi del problema della misura: non sarebbe più neanche chiaro che
cosa significhi per un indice di un apparato di misura puntare in una certa direzione dello spazio
fisico. Per questa ragione riteniamo che la teoria GRW, vista come una teoria della funzione d’onda
sullo spazio astratto delle configurazioni, non possa fornire alcuna soluzione davvero soddisfacente
al problema della misura. Ma non solo: per una interpretazione di questo tipo molte di quelle che
sono ritenute le innovazioni concettuali della meccanica quantistica verrebbero meno, a partire dalla
non-località. In un teoria di questo tipo la possibilità stessa di parlare di località e non-località è
fuori luogo. Infatti, per poter parlare di località si deve presupporre l'esistenza di un'arena, lo
spazio-tempo, in cui gli eventi fisici accadono. L'argomento di non località di Bell (1964) non può
implicare che una tale versione della meccanica quantistica sia non locale; l’argomento di Bell dà
inoltre per scontato che le misure quantistiche abbiano risultati, per cui non si applica a qualunque
versione della meccanica quantistica in cui questo non vale.
Infine, verso questa proposta e verso qualunque proposta di rappresentazione della realtà
fisica che comporti un gap incolmabile con l’esperienza ordinaria, si può avanzare un argomento di
18
tipo trascendentale. Se, con Einstein, si ritiene che il fine della scienza sia, da un lato, la
comprensione più completa possibile della connessione tra le esperienze sensoriali nella loro
totalità, e dall’altra il raggiungimento di questo fine mediante l’uso di un numero minimo di
relazioni e concetti e primitivi, risulta inconcepibile come tale obiettivo possa essere raggiunto
postulando come concetto primitivo la nozione di funzione d’onda. Infatti, se da un lato la funzione
d’onda permette di stabilire relazioni funzionali tra configurazioni, in assenza di una identificazione
univoca delle configurazioni con insiemi di punti nello spazio tridimensionale, non si comprende
come tali relazioni possano permettere di stabilire connessioni tra le esperienze sensoriali della
realtà macroscopica dell’esperienza ordinaria fatta di gatti, tavoli e sedie che vivono nello spazio
tridimensionale. Ci sembra che con questa interpretazione della teoria GRW ci si ci trovi di fronte
ad un gap incolmabile tra i concetti connessi con le esperienze sensoriali e il sistema di concetti
primitivi con cui si vuole descrivere la realtà, un divario per molti versi analogo al gap
(epistemologico e/o ontologico) tra il mentale e il fisico (Chalmers, 1999).
Si osservi che il problema non è tanto nel carattere stravagante e bizzarro della
rappresentazione della realtà fornita dalla funzione d’onda, quanto nella difficoltà di “collocare” in
essa noi stessi e gli oggetti dell’esperienza ordinaria in quanto parte del mondo. Come era già stato
osservato da Rudolf Carnap (1997), nella misura in cui la rappresentazione simbolica della fisica è
assimilabile ad una mappa stradale, la mappa è utile se, assumendo un punto di vista esterno alla
mappa, possiamo, per così dire, indicare un punto della mappa e dire: “siamo qui”. Un problema
di “collocazione” già si presenta per la rappresentazione quadridimensionale della realtà fornita
dalla teoria della relatività, ma una riflessione attenta di questo caso mostra che il problema può
essere risolto, perlomeno per quanto riguarda la collocazione di noi stessi come oggetti puramente
fisici.9 Tuttavia, il problema diventa insormontabile quando la possibilità di individuare noi stessi e
gli oggetti dell’esperienza ordinaria è bloccata in partenza, come accade con la rappresentazione
9 Rimarrebbe irrisolto il problema di collocare in questa rappresentazione la nostra prospettiva soggettiva del mondo,
che di certo non è quadridimensionale, ma, come ebbe a dire Einstein in una conversazione con Carnap (1963),
occorre rassegnarsi al fatto che la nostra percezione soggettiva dello scorrere del tempo non può essere afferrata
dalla fisica. Per questo aspetto del problema mente-corpo si veda anche Lockwood (1989).
19
della realtà basata solo sulla funzione d’onda e come accade, più in generale, quando i concetti
primitivi della rappresentazione fisico-matematica della realtà sono troppo “astratti” — in un senso
difficile da precisare, ma precisarne il senso significa avere già risolto parte del problema. Malgrado
siano stati versati fiumi di inchiostro su questo (a partire dall’idealità di spazio e tempo di Kant e
dal "principium individuationis” di Schopenhauer), rimane tuttora aperto, perlomeno in larga
misura, il problema di comprendere quanto “astratta” possa essere la scelta dei concetti primitivi di
una teoria fisica, senza che venga meno la possibilità di rappresentare, in termini di essi, la
moltitudine dei concetti e degli enunciati più prossimi all'esperienza e senza che, al contempo, si
cada nello strumentalismo (che resta, più o meno consciamente, e specialmente alla luce degli
sviluppi molto astratti della fisica teorica contemporanea, un atteggiamento abbastanza diffuso tra i
fisici). A nostro avviso, il maggiore avanzamento verso una soluzione di questo problema è ancora
costituito dalle analisi che Einstein espose in Fisica e Realtà (Einstein, 1988). A questo proposito,
ci sembrano inoltre rilevanti alcuni sviluppi recenti: gli strumenti dell’analisi concettuale
sviluppati da Frank Jackson (2000), l’approfondimento della nozione di spiegazione riduttiva
proposto da Chalmers & Jackson (2001) e la nozione di ontologia primitiva (Allori & al., 2006,
Allori, 2007).
8. Un’ontologia di campo per la teoria GRW
C’è un modo molto semplice di uscire dall’impasse e di risolvere il problema filosofico che
abbiamo appena discusso: assumere che anche nella teoria GRW, così come nella meccanica
quantistica ortodossa, la funzione d’onda non fornisca una descrizione completa dei sistemi fisici e
completare la teoria con variabili che descrivono strutture che vivono nello spazio tridimensionale
o, più in generale, nello spazio-tempo. Questa è la strada che è stata seguita da Gian Carlo Ghirardi.
Ghirardi ha proposto che la nozione davvero primitiva nella teoria GRW non sia la funzione
d’onda, ma un campo scalare nello spazio-tempo univocamente determinato dalla funzione
20
d’onda.10 Si può dimostrare che su scala macroscopica questo campo può essere identificato con
l’usuale densità di massa degli oggetti fisici e la descrizione che ne emerge, in termini di come la
massa degli oggetti si distribuisce nello spazio fisico tridimensionale, risulta in completo accordo
con la nostra esperienza quotidiana, e include gatti, apparati di misura ed eventi di scintillazione su
un schermo. Ad esempio, secondo questa descrizione, il gatto non risulta essere un agglomerato di
particelle, ma corrisponde ad una data configurazione del campo che, su scala macroscopica, ne
disegna le sembianze familiari. In particolare, quando, per una qualche ragione, si produce una
sovrapposizione della funzione d’onda negli stati di vita e di morte, avviene una pressoché
immediata evoluzione del campo verso la particolare distribuzione di masse che corrisponde o allo
stato di vita o a quello di morte (l’evoluzione è intrinsecamente stocastica con probabilità in
accordo con quelle della meccanica quantistica).
L’immagine del mondo fisico che ne risulta, di un mondo continuo e non atomico, sebbene
diversa da quella della meccanica bohmiana, e da quella suggerita dalle formulazioni convenzionali
della meccanica quantistica, non comporta alcuna contraddizione con le previsioni della meccanica
quantistica ortodossa (nei limiti della conoscenza sperimentale presente), ma risulta in accordo con
tutti i fenomeni quantistici noti. Questa ontologia ricorda, per alcuni versi, l’interpretazione
originale di Schrödinger della sua funzione d’onda in termini di densità continua di carica elettrica.
Ma mentre Schrödinger fu costretto ad abbandonare la sua interpretazione originale, in conseguenza
dello sparpagliamento della funzione d’onda, le modifiche non-lineari e stocastiche dell’equazione
di Schrödinger della teoria GRW evitano queste difficoltà e rendono questa teoria completamente
adeguata per una descrizione completa della realtà fisica.11
Si può quindi ritenere che la teoria GRW sia una teoria del campo scalare nello stesso senso
in cui la relatività generale classica è fondamentalmente una teoria del campo metrico o la
meccanica bohmiana è una teoria di particelle in movimento nello spazio fisico. È interessante
10 Per maggiori dettagli al riguardo e per riferimenti alla letteratura originale raccomandiamo vivamente un saggio
recente molto bello di Ghirardi (2007).
11 Si veda Allori & al., 2006 per discussione più ampia di questo punto e per la proposta di una formulazione a “moltimondi”
dell’interpretazione originale di Schrödinger.
21
osservare che poiché qualunque cosa che c’è nel mondo, inclusi i tavoli, le sedie, i gatti e gli
apparati di misura, risulta determinato da questo campo, la teoria GRW, così interpretata, viene a
essere l’unico esempio noto di teoria che porti a compimento, in maniera soddisfacente, il
programma di Einstein di una pura teoria di campo che renda conto anche dei fenomeni quantistici.
Quando la teoria GRW è interpretata in questo modo, come una teoria basata su un’ontologia di
campo, le obiezioni basate sul carattere astratto della funzione d’onda scompaiono.
Ma c’è un caveat: parlare di “interpretazione” è fuorviante: più che ad una
“interpretazione”, ci troviamo di fronte ad una riformulazione vera e propria della teoria che,
seguendo la terminologia introdotta in Allori & al. (2006), chiameremo teoria GRWm (con ‘m’ che
sta per ‘massa’). In questa teoria, il ruolo della funzione d’onda (che evolve secondo le equazioni
non-lineari e stocastiche della teoria GRW originaria) è completamente analogo al suo ruolo in
meccanica bohmiana: governare l’evoluzione temporale delle variabili che descrivono l’ontologia
“primitiva” della teoria, cioè le particelle in meccanica bohmiana e il campo scalare nella teoria
GRWm. Come in meccanica bohmiana, anche nella teoria GRWm (e nella teoria GRWf a cui
accenneremo tra breve), la distribuzione di Born e la nozione di tipicità giocano un ruolo molto
importante nella descrizione statistica dei fenomeni fisici e nella derivazione delle previsioni
probabilistiche della teoria. Per maggiori dettagli su quest’ultimo punto e per un confronto accurato
tra meccanica bohmiana e teoria GRWm, si veda Allori & al. (2006).
9. Ontologia di lampi
Che non siano le leggi di evoluzione della funzione d’onda a determinare la teoria, ma quelle per
l’ontologia primitiva, è suggerito dalla seguente osservazione: a partire dalle stesse equazioni per la
funzione d’onda si possono immaginare scelte differenti delle variabili primitive e non c’è alcuna
ragione a priori per ritenere che le conseguenze fisiche di queste scelte siano identiche; in generale,
scelte differenti delle variabili primitive definiscono teorie differenti. In effetti, alcuni anni prima di
Ghirardi, una scelta diverse per le variabili primitive era stata proposta da Bell (1987).
22
La proposta di Bell rende conto della struttura degli eventi nello spazio fisico
tridimensionale in termini dei punti nello spazio tempo che corrispondono agli eventi di
localizzazione della funzione d’onda. Secondo questa proposta, una storia del mondo consiste in un
insieme discreto di eventi nello spazio-tempo. Sono questi eventi a costituire ciò che Bell chiamava
le “beables” locali della teoria, e che noi chiameremo lampi. Seguendo la terminologia introdotta in
Allori & al. (2006), chiameremo GRWf la teoria che ne risulta (“lampo” è “flash” in inglese).
Questi lampi sono “le controparti matematiche nella teoria degli eventi reali che accadono in luoghi
e tempi definiti nel mondo reale (a differenza delle molte costruzioni puramente matematiche che si
presentano nel calcolare le conseguenze delle teorie fisiche, a differenza delle cose che possono
essere reali ma non localizzate, e a differenza delle “osservabili” di altre formulazioni della
meccanica quantistica, di cui qui non abbiamo bisogno.) Un pezzo di materia allora è una galassia
di tali eventi (Bell, 1987, p. 204).”
L’importanza della scelta delle variabili primitive di una teoria si manifesta chiaramente
quando si considerano le proprietà di simmetria della teoria.12 Recentemente Roderich Tumulka
(2006), ha costruito un modello relativistico della teoria GRWf, dimostrando l’invarianza della
legge stocastica per la “galassia” di lampi nello spazio-tempo. Al contrario la teoria GRWm non è
suscettibile di un’estensione relativistica di questo tipo (a meno che non si introducano variabili
geometriche addizionali, come una foliazione dello spazio-tempo).
10. Teorie quantistiche senza osservatori
Vogliamo concludere con alcune considerazioni che riguardano la struttura comune di meccanica
bohmiana, GRWm e GRWf. Quando queste teorie sono analizzate attentamente, emerge una
lezione filosofica molto importante: nella struttura di queste teorie si possono scorgere alcune
caratteristiche molto generali che sono, in effetti, comuni a tutte le “teorie quantistiche senza
l’osservatore”, cioè a tutte le formulazioni precise e serie della meccanica quantistica che non sono
12 Per un’analisi approfondita di questo punto si veda Allori & al. (2006).
23
basate su nozioni vaghe e imprecise come “misura” o “osservatore”. Queste caratteristiche possono
essere così riassunte:
1. La teoria è basata su un’ontologia chiara, l’ontologia primitiva, che descrive la materia nello
spazio e nel tempo: le particelle in meccanica bohmiana (sia nella sua versione tradizionale
che nella sua estensione alla teoria quantistica dei campi), la densità di massa nella teoria
GRWm, i lampi nella teoria GWf.
2. C’è una funzione d’onda che evolve secondo l’equazione di Schrödinger in maniera esatta
oppure, almeno per sistemi microscopici, in maniera soltanto approssimata (eventualmente
con correzioni stocastiche e non-lineari).
3. La funzione d’onda governa (eventualmente in maniera stocastica) l’evoluzione temporale
delle variabili che descrivono l’ontologia primitiva.
4. La teoria fornisce una nozione di storia tipica dell’universo, per esempio mediante una
distribuzione di probabilità sullo spazio delle possibili storie dell’ontologia primitiva.
5. Le previsioni devono concordare (almeno approssimativamente) con quelle della teoria
quantistica ortodossa (nella misura in cui quest’ultime sono non ambigue).
Queste caratteristiche sono comuni a tutte e tre le teorie, ma sono anche i desiderata,
presumibilmente anche le condizioni necessarie, di una qualunque teoria quantistica senza
osservatori.
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